LA METEOROLOGIA: DAI SUMERI AD ARISTOTELE - STORIA DI UNA DISCIPLINA DIMENTICATA
Risalente attorno al 340 a.C., Meteorologia (Meteorologica in latino) è un trattato scritto dal famoso filosofo greco Aristotele (384-322 a.C.). L’opera, composta da quattro volumi, è uno dei più antichi testi completi sulla scienza atmosferica dell’intera civiltà occidentale. Meteorologia, che fino al XVII secolo è stato uno dei testi principali sulla materia che studia e osserva l’atmosfera terrestre e le sue variazioni, non contiene solo meri principi teorici e pratici sull’argomento che concerne le proprietà comuni dell’acqua e dell’aria e dei loro fenomeni, ma accumula, sotto la penna del pensatore greco, decisive scoperte di poeti, filosofi e storici classici. Aristotele, introducendo le argomentazioni presentate da altri studiosi greci presocratici, come Anassagora (496-428 a.C.), Empedocle (494-434 d.C.) e altri, plasma le proprie affermazioni mettendo in dubbio e confutando metodicamente le teorie da questi elaborate. Le teorie principalmente delineate dal filosofo greco nell’opera sono sostanzialmente due:
-L’Universo è sferico, per cui: il nucleo interno della Terra è composto dalle orbite dei corpi celesti. L’Universo è diviso in due regioni: la regione celeste (la regione oltre l’orbita lunare) e la regione terrestre-sfera (la tendenza della Luna a orbitare attorno alla Terra).
-La Teoria dei quattro elementi, per cui: la regione terrestre è composta da quattro elementi: acqua, terra, fuoco e aria. Quest’ultimi sono disposti in strati sferici, con la Terra al centro e la Luna alla periferia della sfera. Gli elementi sono in continuo interscambio tra loro, per cui ad esempio: il calore del Sole scontrandosi con l’acqua, crea aria e nebbia.
L’opera, oltre a configurare i fenomeni meteorologici e i processi naturali, include inoltre, al di là del suo titolo generalista, concetti di fisica, scienza, geologia, geografia e idrologia, fino a concepire e descrivere, come abbiamo accennato, i quattro elementi. Secondo l’autore, i quattro elementi, influenzati dal caldo e dal freddo, sono fattori attivamente responsabili della generazione o distruzione della vita stessa, e sono determinanti nell’influenzare la materia, i suoi stati e le sue proprietà. Fino ad oggi, come per le altre scienze, stabilire l’esatta nascita della meteorologia, è aleatorio. Sappiamo però che come campo del sapere – che ormai definiamo una disciplina scientifica – la meteorologia ha origini assai remote nella storia della civiltà umana. Già nel 3500 a.C. gli antichi Egizi possedevano pratiche religiose legate al cielo, sotto forma di rituali per invocare la pioggia; in quanto, tutte le religioni antiche credevano che i processi atmosferici fossero sotto il controllo degli dei. Tuttalpiù, la civiltà babilonese, che si sviluppò attorno ai fiumi Tigri ed Eufrate tra il 3000 e il 300 a.C., utilizzava, in assenza di piante adatte a produrre carta, tavolette d’argilla. Da queste tavolette, che sono oggi appurate essere un antico e deducibile forma di trasmissione del sapere e delle dinamiche di vita e pensiero dell’antica civiltà scomparsa, si può dedurre che la meteorologia fosse una parte importante di questa cultura. I Babilonesi, per associare i fenomeni atmosferici al movimento dei corpi celesti, introdussero per primi una nuova disciplina: l’astrometeorologia. Quest’ultima, tentava sostanzialmente di prevedere il tempo utilizzando l’astrologia. Per gli antichi, la posizione e il moto degli oggetti celesti potevano essere utilizzati per prevedere sia le condizioni meteorologiche sia il clima stagionale.
L’astrometeorologia, ora considerata dai più una pseudoscienza, era in realtà per gran parte della storia antica, una tradizione accademica da secoli tramandata e spesso in stretta relazione con l’astronomia, l’astrologia, l’alchimia e la medicina più profonde. Come oggi, nell’antichità l’esistenza umana era controllata dal meteo e dai suoi effetti. Quest’ultimi, come si può immaginare, erano particolarmente significativi nelle società agricole premoderne come l’antica Mesopotamia. Secondo fonti cuneiformi, l’azione divina nel regno del tempo atmosferico, era personificata nella divinità Adad; un personaggio ambivalente che da un lato sosteneva la vita fornendo acqua e condizioni favorevoli, mentre dall’altro la distruggeva attraverso inondazioni, tempeste e siccità. Ciò è esemplare nel mito babilonese di Atrahasis, che racconta come Adad causò il diluvio che quasi sterminò ogni forma di vita sulla Terra. In alcune evidenti tavolette d’argilla, oggetto di uno studio oculato, viene citata una predizione basata sui periodi planetari e lunari:
[Se] vuoi fare una previsione [per …pioggia e] acqua alta: […]mese II. Per la Stella Grande (Giove) 1,12 (= 72), 24, 12 anni, [per Dilbat (Venere)] 16, 8 anni, per Šiḫṭu (Mercurio) 46, 21, 13 anni, [per Kayyāmānu (Saturno)…, per Ṣalbatānu (Marte)] 47 anni, per Šamaš (sole) 36, 54 anni, per Sin (luna) 18 anni (AO 6488 rev. 1–4). Per calcolare ("fare") la pioggia e l'acqua alta: 1,12 per Sagmegar (Giove), 64, in secondo luogo 16 per Dilbat, 46, in secondo luogo 13 per Šiḫṭu, 59 per Kayyāmānu, 1,19 (= 79), in secondo luogo 47 per Ṣalbatānu.1
Come è nota nella tarda scienza astrale babilonese, i pianeti vengono indiziati come potenzialmente benefici (Giove, Venere) o malefici (Saturno, Marte). In un altra tavoletta, vengono esplicitamente menzionati i segni zodiacali, che appaiono tutti in configurazioni significative, le quali, associate a pianeti ben precisi, sono collegate a fenomeni meteorologici.
Per la pioggia e l'acqua alta: nei Pesci, il Grande Uno (Acquario) e le Stelle (Toro). Per l'ascesa del vento: nei Gemelli, Pabilsag (Sagittario), il Granchio, il Leone, la Rondine (Pesci occidentali), Anunītu (parte dei Pesci), le Stelle e l'Uomo Mercenario (Ariete).Per il sorgere di una tempesta (me-ḫe-[e]), la distruzione da parte di Adad, la distruzione (ri-iḫ-ṣu): nelle Stelle e nel Mercenario.
Scenario simile è riscontrabile inoltre in un’altra tavoletta seleucide di Uruk, che illustra una procedura di osservazione celeste in relazione al commercio, con lo scopo di prevedere il prezzo del mercato dell’orzo:
Se vuoi fare una previsione per la regione del prezzo di mercato dell'orzo: indaghi sul corso dei pianeti e osservi la (prima) apparizione, l'ultima apparizione, la stazione, il "bilanciamento", l'avvicinamento, la debolezza e la luminosità dei pianeti e il segno zodiacale in cui iniziano a salire e scendere, e poi fai una previsione per il tuo anno, e sarà corretta.
Un’altra attestazione nelle composizioni meteorologiche tardo-babilonesi, che sappiamo prevedeva l’uso dell’astrometeorologia, aveva lo scopo di anticipare e monitorare il livello del fiume Eufrate, definito “acqua alta” (mīlu) nei diari. Riguardo ciò sappiamo che nel 350 a.C., la variazione del livello del fiume veniva segnalata tra i fenomeni celesti ogni volta che smetteva di salire, scendere o rimanere costante; cosa che in genere accadeva più volte al mese. Tuttavia, un’indicazione più convincente presumeva una stretta connessione tra il livello del fiume e i fenomeni meteorologici; connessione riguardante le eclissi, che a volte innescavano la rilevazione quasi giornaliera del livello del fiume. Un primordiale esempio di ciò, è riscontrabile in un diario del mese X del re Artaserse III di Persia (425-338 a.C.), anno 12, che riporta un’eclissi lunare il giorno 13 e un’eclissi solare omessa il giorno 28:
Il 28, eclissi di Šamaš che passò. Notte del 29, ultima parte della notte, fulmini, forti tuoni,… pioggia PISAN DIB (= fenomeno correlato alla pioggia). Il 29, al mattino, fulmini, forti tuoni, poca pioggia PISAN DIB. Sopra Babilonia e sotto Babilonia piovve molto […]. (…) [In quel mese dal …al] 14, il livello del fiume salì di 8 dita; dal 15 al 19 il livello del fiume scese di 8 dita; il 22 il livello del fiume salì di 4 dita; dal 23 al [26? il livello del fiume scese? …;] il 27, 28 e 29 il livello del fiume salì di 1/2 cubito.
Altre dozzine di esempi simili sono nuovamente attestate tra il 322 e l’88 a.C. In precedenza citato, l’innovazione significativa introdotta dai Babilonesi, fu l’incorporazione dello zodiaco come nuovo quadro spaziale per descrivere le configurazioni planetarie e lunari e dedurne le previsioni. Lo zodiaco di oggi, composto da dodici segni, si è in realtà sviluppato in via di riduzione nel periodo babilonese dalle diciotto costellazioni primordialmente concepite nello zodiaco sumero. Gli antichi, che contemplavano stelle, costellazioni e pianeti come dotati di spirito e divinità, resero l’astronomia e l’astrologia – considerate la stessa cosa fino a tempi relativamente recenti – due delle scienze più sacre; un sistema sofisticato che intrecciava la vita quotidiana, la religione e la cultura. I Sumeri, per primi, osservarono, tracciarono e registrarono dettagliatamente i movimenti della Luna, del Sole e delle stelle, mentre i Babilonesi furono i primi a completare le codificazioni dell’osservazione astronomica.
Una delle più complete compilazioni babilonesi sull’argomento, noto come Enuma Anu Enlil, composto da 70 tavolette astrologiche, che includono dalle 6500 alle 7000 previsioni astrologiche specifiche, aveva lo scopo di predire lo stato del re e della nazione. Nonostante ciò e contrariamente a quanto si pensi, l’astrologia natale e predittiva era ben praticata anche per la gente comune. Il testo che tuttavia contiene uno degli elenchi di stelle più significativi nell’astrologia babilonese, è un documento noto come MUL.APIN (tradotto come la “Stella/Costellazione dell’Aratro”), che si ritiene sia stato compilato nella sua forma canonica intorno al 1000 a.C. Proprio in questo testo, sono contenute 71 stelle e costellazioni con relativi orari; stelle che sono elencate con una divinità associata e che seguono il percorso della Luna. Diciotto di queste costellazioni associate, divenute in seguito dodici, furono proprio quelle a definire il sistema zodiacale, che si diffuse in seguito in Egitto, Grecia e India. Lo zodiaco babilonese, i cui segni sono allineati con i mesi lunari e l’anno solare e corrispondono a specifici fenomeni celesti, fungeva da ponte tra il cielo e le vicende terrene. L’integrazione con la mitologia, come abbiamo accennato, fu però il tratto distintivo che giocò in modo innovativo un ruolo vitale in ogni aspetto della vita babilonese. In seguito vediamo una panoramica di ciascun segno:
-Ariete
(Gishimmu) – Simboleggiato dall'ariete:
associato alla leadership, al coraggio e all'assertività.
-Toro
(Gud) – Rappresentato dal toro: questo segno incarna forza,
determinazione e amore per la comodità.
-Gemelli (MUL.GU4) –
I gemelli simboleggiano dualità, comunicazione e
adattabilità.
-Cancro (Kislimu) – Il granchio simboleggia
sensibilità, cura e profondità emotiva.
-Leone (MUL.BAR) –
Rappresentato dal leone: incarna orgoglio, creatività e desiderio di
riconoscimento.
-Vergine (MUL.SIG) – La fanciulla simboleggia
purezza, attenzione ai dettagli e pensiero analitico.
-Bilancia
(MUL.ZIB) – Rappresentata dalla bilancia: incarna equilibrio,
armonia e correttezza.
-Scorpione (MUL.SAR) – Lo scorpione
simboleggia intensità, trasformazione e passione.
-Sagittario
(MUL.SHI) – Rappresentato dall'arciere: incarna l'esplorazione,
l'avventura e la ricerca della conoscenza.
-Capricorno (MUL.DU)
– La capra simboleggia ambizione, disciplina e praticità.
-Acquario
(MUL.ZA) – Rappresentato dal portatore d'acqua; incarna
innovazione, umanitarismo e indipendenza.
-Pesci (MUL.UTU) – I
pesci simboleggiano intuizione, empatia ed espressione artistica.
Oltre a questo, i Babilonesi studiarono la formazione delle nuvole, l’andamento dei venti e il comportamento degli animali. In via di successione, gli antichi Egizi, che vissero nella valle del Nilo, svilupparono un forte legame con la natura. E’ noto come gli Egizi brevettarono un sofisticato sistema di irrigazione per gestire le piene del Nilo, ed erano profondamente consapevoli dell’impatto del clima sulle loro colture. Oltre a questo, osservavano anche la fauna, comprese le migrazioni degli uccelli e il comportamento dei serpenti, che ritenevano potessero anticipare l’inizio della stagione delle piogge. Una scoperta rivoluzionaria del secolo scorso, che sancisce tuttora una delle prime attestazioni meteorologiche nella storia dell’Antico Egitto, è nota come la Stele della Tempesta.
Rinvenuta nel terzo pilone del tempio di Karnak a Tebe, odierna Luxor, la Stele della Tempesta è un blocco di calcite alto 1,8 metri, su cui vi è inscritto, in circa 40 righe, il resoconto di insoliti fenomeni meteorologici coerenti, secondo alcuni ricercatori, con un ragguaglio visivo della massiccia eruzione vulcanica di Thera (Santorini) avvenuta nel 1600 a.C. La Stele, sarebbe stata eretta dal re Ahmose I, che si ritiene abbia regnato dal 1550 a.C. sancendo l’inizio del Nuovo Regno; un periodo in cui la potenza dell’Egitto raggiunse il suo apice. Il manufatto iscritto, rinvenuto frammentato tra il 1947 e il 1951 da archeologi francesi, è stato oggetto di una recente traduzione solo nel 2014. La stele descrive in maniera plateale come:“Il malcontento degli dei fece venire il cielo con una tempesta, che causò oscurità nella regione occidentale” il cui “cielo in tempesta senza sosta, era più forte delle grida delle masse”, e compì la distruzione di tombe, templi e piramidi nella regione di Tebe. I passaggi riportati, che forniscono il bollettino meteorologico più antico al mondo, descrivono anche come: “ogni casa, ogni riparo e i cadaveri galleggiavano lungo il Nilo come barche di papiro per giorni, senza che nessuno potesse accedere la torcia da nessuna parte”. Sebbene la parte che descrive la tempesta sia la più danneggiata, la Stele riporta come, a seguito di questo cataclisma devastante, “il popolo, a est e a ovest, era in silenzio, poiché non aveva più vestiti addosso”, fin quando “Sua Maestà – ovvero il re Ahmose I – scese sulla sua barca seguito dal suo consiglio e giunse a Tebe, e si accinse a rafforzare le Due Terre [Alto e Basso Egitto], e a far defluire l’acqua, fornendo argento, oro, rame, olio, vesti, e tutti i prodotti desiderati”. Gli ultimi versi della Stele riportano come, dopo la tempesta, il re fu informato che “le camere sepolcrali erano state danneggiate, le strutture dei recinti funerari erano state minate e le piramidi erano crollate, e tutto ciò che esisteva era stato annientato”, al che egli “ordinò quindi la riparazione delle cappelle cadute in tutto il paese, il restauro dei monumenti degli dei, la ricostruzione dei loro recinti, la ricostruzione degli altari di fuoco e la ricollocazione delle tavole delle offerte in posizione verticale”. Ordini che furono eseguiti, “come Sua Maestà aveva ordinato”. Un resoconto dettagliato di un evento cataclismatico senza precedenti né pari.
Vediamo ora per ultimo come nell’Antica Grecia, dove visse Aristotele, veniva concepita la meteorologia, i suoi effetti e la sua importanza. Tanto quanto a Roma, in Grecia il meteo era oggetto di discussione tra la gente. Come abbiamo già accennato e come avrà modo di leggere il lettore prossimamente, gli antichi filosofi naturali presocratici avevano molto da dire sui fenomeni meteorologici ed erano interessati a capirne le cause. La parola stessa dalla quale deriva il termine “meteorologia”, deriva dal greco “meteora” e si riferisce a cose elevate; a cose che si trovano in alto. Come erroneamente potremmo pensare, lo studio della meteorologia per gli antichi Greci non includeva solo quelli che oggi definiremmo fenomeni atmosferici (come neve, pioggia, grandine e vento) ma anche alcuni fenomeni che tuttora definiremmo astronomici (come le comete, ma anche eventi geologici o sismologici). Basti pensare, se ci rivolgiamo ai primissimi testi greci, ai poemi omerici ed esiodei, in cui si parla molto del tempo atmosferico; ma anche verso testimonianze non scritte ma artistiche, come vasi greci e talora statue raffiguranti gli dei (vedi Zeus che scaglia un fulmine). In un’opera giovanile di Esiodo (VIII-VII secolo a.C.), nota come Le Opere e i Giorni, troviamo qualcosa che sembra una versione molto sintetica di un calendario meteorologico o di un almanacco contadino, che fornisce un’indicazione di cosa dovremmo fare e quando; in quanto i fenomeni meteorologici – ma anche le sorti dei mortali – non si manifestano e basta, ma gli dei, sommamente, ne hanno il controllo. Questo, nella visione greca, era imprescindibile. Nell’almanacco contadino contenuto nel poema, Esiodo, oltre tremila anni fa, scrisse una guida indispensabile alle pratiche dell’agricoltura antica, e diede dei consigli pratici relativi alla semina, alla raccolta, al tipo di legno da usare per l’aratro fino alla gestione dei braccianti agricoli. In sezioni più circostanziate, l’autore indica i giorni più propizi per svolgere determinati compiti in base al tempo e all’astronomia; ad esempio riporta:
Nel momento in cui le Pleiadi, figlie di Atlante, sorgono, iniziate il raccolto e arate di nuovo quando tramontano. [383-4]
Inoltre, secondo Esiodo, alcuni giorni del mese erano ritenuti sacri agli dei, e altri giorni erano preferibili per svolgere compiti specifici:
L'undicesimo
giorno, e anche il dodicesimo, sono entrambi giorni molto buoni, sia
per tosare le pecore che per mietere il buon raccolto;
ma di
questi il dodicesimo giorno è di gran lunga migliore
dell'undicesimo. [774-6]
Nonostante questo, è interessante riflettere su come l’approccio dei filosofi naturalisti greci nei confronti di questi fenomeni, abbia offerto spiegazioni razionali e intrinseche, sottraendoli in un certo senso al mero volere degli dei. Una prova di questo, è riscontrabile se prendiamo in esame un’altra testimonianza greca: Lettera a Pitocle di Epicuro (341-270 a.C.), in cui l’autore tratta a lungo dei fenomeni meteorologici, chiarendo di come si possa avere una comprensione razionale del tempo atmosferico, senza necessariamente dar merito agli dei, in quanto troppo impegnati per preoccuparsi di qualcosa di così banale. Epicuro suggerisce che non dobbiamo preoccuparci di queste cose, poiché accadono e basta, naturalmente:
Non dobbiamo infatti condurre la ricerca scientifica basandoci su presupposti vuoti e principi arbitrari, ma seguire la guida dei fenomeni: la nostra vita, infatti, non ha più posto per credenze irrazionali e per immaginazioni infondate, ma dobbiamo vivere senza turbamenti. [87]
Parimenti interessati, Greci e Romani tuttavia non erano sempre avvinti a spiegare il tempo meteorologico, ma solo a prevederlo di lì a breve; infatti non dovrebbe sorprenderci che agronomi e agricoltori facessero uso di calendari astrometeorologici. Plinio il Vecchio (23-79 a.C.), ad esempio, autore della Naturalis Historia, racconta che alcuni mercanti usavano le previsioni del tempo per aiutarsi a stabilire i prezzi dei mantelli che avrebbero venduto, per cui: se fosse stato previsto un inverno rigido, sapevano di poter aumentare il prezzo dei loro mantelli e guadagnare di più. In quanto opera scritta per “humili vulgo”, ovvero il pubblico comune e i contadini, Naturalis Historia continua ancora oggi ad essere un esauriente compendio sulla materia. D'altronde, l’importanza di capire gli aspetti del clima antico, dei suoi fenomeni e delle condizioni locali in relazione agli eventi astronomici come il sorgere e il tramontare di alcune stelle, se non che i solstizi e gli equinozi, era essenziale agli agricoltori intorno al Mediterraneo. Infatti, come lo stesso Plinio afferma citando una lunga tradizione di testi astrometeorologici, “I tempi adatti per la semina dipendono in grandissima misura dalle stelle”; per cui l’agricoltore viene incoraggiato a prescindere a cercare segni terresti e a effettuare le proprie osservazioni, piuttosto che avvalorare esclusivamente l’astronomia. Ad esempio, piuttosto che fornire date calendariali, Plinio sostiene l’osservazione dei fenomeni fenologici, ovvero quelle manifestazioni stagionali nella vita vegetale in relazione ai fattori climatici (fioritura, caduta delle foglie ecc.), come egli stesso cita:
Il cambio delle foglie dell'olivo, del pioppo bianco e del salice segna il solstizio d'estate, la fioritura della mentuccia (pulieio) il solstizio d'inverno.
Contrariamente a certi segnali celesti raccomandati ad esempio da Senofonte (IV secolo) e Cicerone (106-43 a.C), Plinio informa il lettore che il vero metodo da adottare per la semina, è quello di non interrare prima che le foglie inizino a cadere, esortando a giudicare le date celesti in base ai loro effetti, poiché:“il miglior fertilizzante è l’occhio del padrone”; senza aspettarsi che i tempi del cambio di stagione siano per forza esatti o coerenti, come riporta:
Quell'agricoltore inesperto di astronomia può trovare questo segno [per la semina] tra i suoi rovi, guardando la sua terra: quando ha visto le foglie cadere. In questo modo si può stimare il tempo atmosferico dell'anno, [poiché cadono] prima in un luogo, dopo in un altro…
Oltre a ciò, Plinio, al contrario di Varrone (116-27 a.C.), Virgilio (70-19 a.C.) e Columella (4-70 a.C) – che scrissero per i possessori di grandi tenute – si rivolge agli umili proprietari terrieri promuovendo coscientemente un comportamento responsabile in ambito ambientale, citando direttamente un episodio:
In territorio siracusano, un contadino immigrato perse i suoi raccolti a causa del fango dopo aver ripulito il terreno dalle pietre, finché non le rimise al loro posto.
Tuttalpiù, secondo Plinio, l’intervento dell’uomo sul corso naturale delle cose, cambia il clima:
Non scopriamo forse che [i terreni] valutati per un lungo periodo cambiano spesso? In Tessaglia, nei pressi di Larissa, dopo che il lago fu prosciugato, la zona divenne molto più fredda, e gli ulivi che un tempo vi si trovavano sparirono, e allo stesso modo le viti furono colpite dal gelo, cosa che non era mai accaduta prima...e nei pressi di Filippi, dopo che il territorio fu prosciugato per la coltivazione, la natura del clima cambiò.
Ancora una volta, nell’Antica Grecia, troviamo il contributo di un altro lume del sapere: Talete di Mileto. Rinomato erudita conosciuto come uno dei leggendari Sette Sapienti dell’antichità, nonché il fondatore della scuola di filosofia naturale, Talete, oltre ad essere ricordato primariamente per la sua teoria cosmologica basata sull’acqua come essenza di tutta la materia sulla Terra, era sufficientemente coinvolto anche nelle questioni riguardanti la matematica, l’astronomia, la cosmologia, la geografia, la politica e altre forme di scienza e filosofia. Sebbene si conoscano pochissime informazioni specifiche sulle sue idee e scoperte, la sua brillante reputazione è sopravvissuta grazie all’enorme influenza che ebbe su filosofi, studiosi e scienziati che gli succedettero; uno su tutti, se non il più celebre, fu proprio l’illustre Aristotele, che registrò numerosi racconti sul filosofo ionico. Oltre a testimoniare per iscritto come Talete avesse intrapreso i suoi studi per il piacere di apprendere anziché per il mero desiderio di trarre profitto dalle sue scoperte, Aristotele ci informa di come il filosofo naturale, vittima dei commenti offensivi dei suoi vicini nel vivace porto della città di Mileto – i quali affermavano che non potesse vivere dei suoi studi filosofici – riuscì invece, proprio grazie al suo ferreo apprendimento, ad arricchirsi rapidamente per ripicca a siffatti calunniatori. A tal proposito Aristotele afferma:
La storia è la seguente: la gente gli aveva rimproverato che la filosofia era inutile, poiché lo aveva lasciato povero. Ma lui, deducendo dalla sua conoscenza delle stelle che ci sarebbe stato un buon raccolto di olive, mentre era ancora inverno e aveva un po' di denaro da parte, lo usò per pagare le caparre per tutti i frantoi di Mileto e Chio, assicurandosi così il noleggio. Questo gli costò solo una piccola somma, poiché non c'erano altri offerenti. Poi giunse il tempo della raccolta delle olive e, poiché ci fu un'improvvisa e simultanea richiesta di frantoi, li noleggiò a qualsiasi prezzo gli piacesse chiedere. Guadagnò un sacco di soldi, dimostrando così che è facile per i filosofi diventare ricchi, se lo desiderano; ma questo non è il loro scopo nella vita. Questa è la storia di come Talete diede prova della sua intelligenza.
In un’altra questione affine, Aristotele racconta un episodio in cui Talete utilizzò le sue conoscenze astronomiche per prevedere che un anno ci sarebbe stata una vendemmia particolarmente buona; per cui acquistò tutti i torchi per poi affittarli a persone che non avevano previsto un raccolto altrettanto buono. In questa testimonianza troviamo, ancora una volta, un ulteriore resoconto – se non uno dei primi a scopo redditizio – in cui le previsioni meteorologiche venissero usate in modo molto pratico. Altresì, ulteriori note antiche attribuiscono a Talete alcuni trattati scritti ed altrettanti primati, come – riportato da Calimaco – il saggio consiglio che i navigatori di Mileto dovessero veleggiare secondo la costellazione Ursa Minore (in quanto, a detta di Calimaco, fu lui lo scopritore), o, secondo Diogene come fu:“il primo a studiare l’astronomia, a prevedere le eclissi di sole (la più importante avvenuta il 28 maggio del 585 a.C.) e a fissare i solstizi”. Si dice che fosse talmente coinvolto nei suoi poliedrici studi che, un giorno, durante un’osservazione, cadde in un pozzo5. Oggi, è ampiamente accertato che Talete acquisì informazioni da fonti del Vicino Oriente e abbia avuto accesso alla vasta documentazione risalente all’epoca del re Nabonassar (VIII secolo a.C.), tale per cui antiche lettere dimostrano che i Babilonesi e gli Assiri sapevano che le eclissi lunari possono verificarsi solo durante la luna piena e quelle solari solo durante la luna nuova, e che in generale sono fenomeni che si verificano a intervalli di cinque o sei mesi. Come afferma Flavio Filostrato:“Talete osservò i corpi celesti dal Monte Micale, che era vicino a a casa sua”. Oltre ad ulteriori scoperte e preminenze, come ad esempio aver misurato l’altezza delle piramidi di Giza sulla base dell’ombra che proiettavano, Talete è noto che proprio in Egitto acquisì i rudimenti della geometria, che in seguito introdusse in Grecia; poiché, proprio come sosteneva Platone, i greci prendevano dagli stranieri ciò che era di valore e sviluppavano le loro nozioni in idee migliori. Il suo possibile viaggio in Egitto – come sostenuto da uno degli studenti di Aristotele, ovvero Eudemo – potrebbe essere supportato dal fatto che la ricchezza di Mileto era il brillante risultato del successo come centro commerciale, e non sarebbe stato difficile trovare un passaggio su una delle numerose navi che vi trafficavano. Tornando brevemente alle note scoperte di Talete, fu proprio Giuseppe Flavio a suggerire che Talete abbia visitato i Babilonesi e i Caldei e abbia avuto accesso ai registri astrologici che gli permisero di predire l’eclissi solare del 585 a.C., poiché, storicamente, Mileto aveva fondato molte colonie intorno al Mediterraneo e in particolar modo lungo le coste del Mar Nero. E’ probabile che Talete, colui dei “grandi maestri” come lo chiamava Erodoto, visitò Creso (596-546 a.C.) nella capitale Lidia, e da lì si sarebbe unito ad una carovana per percorrere il viaggio di tre mesi con lo scopo di visitare gli osservatori di Babilonia e ricercare le conoscenze astronomiche accumulate in secoli di osservazione dei fenomeni celesti. Oggi, l’eredità di Talete ci insegna a conoscere e dare spiegazioni pragmatiche ai fenomeni naturali, e, in linea assoluta, a ricercare la conoscenza fine a se stessa, poiché:“Niente è più attivo del pensiero, poiché viaggia nell'universo…”
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