LE TAVOLE SMERALDINE - STORIA DI UN ANTICO TESTO SAPIENZALE







Le Tavole Smeraldine sono una serie di testi sapienziali attribuiti ad Ermete Trismegisto, una figura leggendario-sincretica del dio greco Hermes e del dio egizio Thoth. Il contenuto misterico di queste Tavole sarebbe inciso in caratteri geroglifici su prodigiose lastre infrangibili e sarebbe divenuto popolare tra i circoli esoterici del XX secolo. Come il lettore leggerà prossimamente, la leggenda delle Tavole Smeraldine troverebbe origine nell’antica e leggendaria Atlantide e sarebbe connessa con la costruzione delle stesse Piramidi egizie. Come riportano gli stessi testi, Thot, vissuto su Atlantide per un lungo periodo, si sarebbe fatto carico di custodire la mole del saggio sapere scientifico ed artistico di Atlantide poco prima che quest’ultima venisse completamente sommersa. Per provvedere alla tutela di quest’antica saggezza antidiluviana, Thot avrebbe scelto la terra di Khem (Egitto) edificandovi per tale scopo la Grande Piramide di Giza e sigillandola fino a quando “gli illuminati non sarebbero giunti.”

La leggenda riguardo il ritrovamento di queste Tavole apparirebbe per la prima volta in una serie di fonti arabe del primo Medioevo tra il VII e il IX secolo. Il riferimento più antico a questi testi, che sarebbero stati più volte tradotti ed interpretati in lingua Latina, si troverebbe in un’opera araba nota come Kitab Sirr al-Halika ovvero Il Libro del Segreto della Creazione. Questo trattato probabilmente di origine greca e concernente la natura dell’universo e tutto ciò che in esso è contenuto, sarebbe falsamente attribuito, secondo molti, a Balinus, solitamente identificato con Apollonio di Tyana. Secondo le fonti, dopo esser stato tradotto tardamente in Siriaco da un monaco siriano di nome Sergius che ne aggiunse innumerevoli confutazioni e commenti, venne tradotto in arabo non più tardi del 955 d.C., divenendo uno dei testi a carattere ermetico più influente nella letteratura araba. Un’ulteriore versione delle Tavole si troverebbe in un libro del X secolo noto come Sirr al-Asrar, ovvero Il Segreto dei Segreti, conosciuto in latino come Secretum Secretorum; un trattato di natura enciclopedica che rivendicherebbe di essere una presunta lettera scritta dallo stesso filosofo Aristotele al suo studente Alessandro Magno durante la conquista da parte di quest’ultimo della Persia Achemenide. Includendo temi di politica, etica, fisionomia, astrologia, alchimia, magia e medicina, le prime edizioni esistenti affermano di essere basate su una traduzione araba del IX secolo di una traduzione siriaca dell'originale greco perduto. Tradotto in latino a metà del XII secolo, ebbe grande influenza tra gli intellettuali europei durante l'Alto Medioevo.

Molte sono le leggende che gravitano attorno alla mitica scoperta di quest’antico Sapere: la prima fra queste risalirebbe ancora una volta ai tempi di Alessandro Magno, all’interno di una tomba nascosta sotto l’antica statua del dio greco Hermes, in Egitto, o, secondo altri, in una grotta vicino Hebron. Una seconda leggenda, sicuramente meno nota, riguarderebbe il Califfo Abbaside Al-Mamum (786-833 d.C.). Noto per aver promosso attivamente i movimenti di traduzione dal greco all’arabo di opere scientifiche e letterarie, Al-Mamum, fervente intellettuale e mecenate tra le altre cose, fu artefice dell’ampliamento de la Bayt al-Hikma conosciuta come la Casa della Saggezza, uno dei più grandi centri intellettuali che sorgeva nel cuore di Baghdad, al tempo capitale del Califfato Abbaside. Evidentemente appassionato di egittologia, attorno all’832 d.C. al-Mamun organizzò una spedizione di diverse settimane in Egitto per condurre scavi nella piana di Giza, facendo ingresso per primo da quando venne sigillata intorno al 2566 a.C., nella Grande Piramide. Interessato da cosa la piramide di Cheope potesse ospitare, dopo estenuanti scavi attraverso i corridoi e le camere sotterranee, Al-Mamun giunse a quanto pare con grande successo nella camera sepolcrale, trovando apparentemente solo poche rovine. Inaspettatamente il Califfo ordinò la sospensione degli scavi e fece ritorno a Damasco. Secondo quanto riportò al-Idrisi (1100-1165 d.C), un geografo e cartografo arabo che servì alla corte di re Ruggero II di Sicilia, il Califfo commissionò ad un erudita egiziano di nome Ayyub ibn Maslama di tradurre per lui alcuni scritti riguardo le piramidi. “Un uomo anziano che era stato raccomandato per lui da altri sapienti d’Egitto perché potesse decifrare i geroglifici.” Continuando poi “egli tradusse per al-Mamun cosa era scritto sulle piramidi, sui due obelischi di Eliopoli, su una stele rinvenuta in un villaggio vicino Menphis, su un’altra stele di Menphis come anche altri scritti ritrovati a Bu Sir e Sammanud. Ogni cosa che tradusse si trova in un libro chiamato al-Tilasmat al-Kahniya (I Talismani Sacerdotali)…

Alcuni si domandano in primo luogo quale fosse la motivazione che indusse il Califfo al-Mamun a voler effettuare scavi nella piana di Giza. Potendo ipotizzare che l’élite Abbaside fosse interessata alle opinioni circolanti riguardo le piramidi e la loro natura, certe fonti medievali riportano che il Califfo intendesse solamente recuperarne i tesori nascosti al loro interno o, per zelo religioso, come affermano altri, che intendesse demolirle ma senza alcun successo. Ai tempi di al-Mamun la possibile leggenda che le piramidi fossero state costruite da profetiche figure antidiluviane con l’intento di preservare un’antica conoscenza riportata sotto forma di scrittura simbolico-geroglifica, era difatti comune come riportano similmente le seguenti fonti arabe contemporanee e successive ad al-Mamun.
Una prima fonte storica è riportata da Ibn Juljul (944-994 d.C.) e si rifà ad Abu Ma’shar, noto in Occidente come Albumasar, uno dei più grandi astrologi persiani della corte Abbaside di Baghdad, contemporaneo di Al-Mamun. Ibn Juljul, un influente medico e farmacista arabo-andaluso menzionò nella sua opera Tabaqat al-atibba w’al-hukama (Generazioni di medici e Uomini Saggi), un libro sulla storia della medicina che trae spunto dalle fonti orientali e occidentali dell’epoca e che include 57 biografie di figure di spicco greche, musulmane, africane e spagnole, considerava le piramidi come strutture erette per custodire l’antica saggezza antidiluviana attribuita ad Hermes:

(Hermes) fu il primo ad avvertire gli uomini della venuta del Diluvio e ad aver pensato che una catastrofe d’acqua e fuoco proveniente dal cielo avrebbe colpito la terra. Viveva nell’Alto Egitto, che scelse per se stesso, e lì vi costruì le Piramidi e le città d’argilla. Quando nel Diluvio temette la perdita della conoscenza, costruì i templi, che è una montagna conosciuta come Barba nella città di Akhmin. Vi cesellò fuori e vi copiò dentro le incisioni di tutte le arti e il loro uso e raffigurò tutte gli strumenti degli artisti, e vi mostrò in una illustrazione le caratteristiche delle scienze, motivato dal suo desiderio di preservarle in eterno per coloro che sarebbero venuti dopo di lui, lontano dalla paura che la sua figura sarebbe svanita dal mondo.

Un’altra testimonianza storica attendibile che riporta quanto fosse popolare la leggenda che il dio Hermes avesse eretto le piramidi di Giza per custodirne l’antica sapienza antidiluviana, è il noto viaggiatore maghrebino Ibn Battuta (1304-1368 d.C.) la cui opera Rihla (I Viaggi) rappresenta uno dei testi della letteratura di viaggio arabo-medievale più completi al mondo. Egli fermatosi al Cairo scrive:

Le piramidi sono una delle meraviglie da sempre celebrate nel corso del tempo e le genti ne hanno disquisito a lungo, indagando a fondo le circostanze e l’epoca della loro costruzione. A quanto dicono, tutte le scienze apparse sulla terra prima del Diluvio furono insegnate agli uomini da Hermes l’Antico, che abitava nella parte superiore dell’Alto Egitto e veniva chiamato Enoch – o anche Idris (profeta menzionato nel Corano, solitamente identificato con il patriarca Enoch). Sarebbe stato lui il primo a parlare dei movimenti delle sfere celesti e delle sostanze superiori, e anche il primo a costruire templi e a glorificarvi l’Altissimo. Lo stesso Hermes predisse poi agli uomini il Diluvio e, temendo che andassero perduti il sapere e le competenze artistiche, costruì le Piramidi e i templi, sui quali raffigurò tutte le arti con i relativi strumenti e annotò i princìpi del sapere eterno.

Queste fonti concordi, siano esse popolari leggende o meno, forse ci incoraggeranno per la prima volta a rispondere all’enigmatico quesito che l’uomo continua a porsi: chi costruì le piramidi e per quale fine? Al lettore le proprie conclusioni.




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